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sabato 15 ottobre 2016

Le favole degli alunni di I Media.




In attesa di nuove recensioni da pubblicare, da oggi inseriamo una rubrica dedicata alle favole inventate dai nostri alunni di I media. Buona lettura a tutti!


IL CACCIATORE E IL CINGHIALE



Un giorno un cacciatore udì delle urla e le seguì. Appena arrivato, vide un cinghiale ferito e sofferente. L’animale gridò: <<Aiuto! Aiuto! Per favore, aiutatemi!>>. Il cacciatore ebbe l’istinto di ucciderlo ma, vedendolo angosciato, si impietosì, posò il fucile a terra, si avvicinò con atteggiamento rassicurante e gli prestò soccorso.
Il cinghiale incredulo accettò le cure e appena si riprese si incamminò verso casa. Al suo ritorno, raccontò alla famiglia l’esperienza appena vissuta.
La favola ci insegna che nel momento del bisogno e della necessità, il buonsenso prevale sull’istinto.

Giuseppe Anello
Lorenzo Marulli
Gabriele Pirrotta
Matteo Mortillaro
Angelo La Barbera

Recensione Carla Dolce (a cura di) A. Mangano, 11-M: Città globali e terrorismo internazionale, Il Filo, Roma 2009, ISBN 978-88-567-0731-1

A. Mangano, 11-M: Città globali e terrorismo internazionale, Il Filo, Roma 2009, ISBN 978-88-567-0731-1


11-M: Città globali e terrorismo internazionale  è un saggio che ho trovato veramente molto interessante. Partendo da un’attenta analisi critica dei molti problemi riguardanti gli Stati Uniti e l’Europa - quali gli effetti negativi della globalizzazione e delle multinazionali, il razzismo (diffuso principalmente negli USA, dove addirittura sono stati creati degli appositi ghetti per coloro che la società benestante ritiene “diversi” e considera i responsabili di tutti i problemi, specialmente afroamericani e ispanici), l’immigrazione e, soprattutto, il terrorismo - l’autrice si sofferma particolarmente sulla strage dei treni che l'11 marzo 2004 ha colpito le principali linee ferroviarie di Madrid:  Atocha, Calle Tellez, Santa Eugenia e El Pozo (200 morti e più di 1400 feriti). Descrivendo lo stile di vita delle città contemporanee, riflette al contempo sui problemi che interessano il mondo intero, poiché, come scritto nel saggio: <<la città è lo specchio del mutamento economico della società e il microcosmo del mondo in cui viviamo>>. 
Inizialmente, si pensa che la responsabile dell’attentato ai treni in Spagna sia l’ETA (Patria Basca e libertà), ma in seguito, si attribuisce la colpa al terrorismo islamico di Al Qaeda - ricordando le minacce rivolte dagli stessi estremisti ai paesi alleati degli USA nella guerra irachena, quindi anche alla Spagna - collegandolo all’attacco alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001. L’obiettivo non è quello di colpire monumenti o luoghi simbolo, bensì il cuore della vita economica dei paesi occidentali. Stati Uniti ed Europa contribuiscono notevolmente a propagare morte e distruzione nel mondo, con il pretesto di portare la democrazia nei paesi poveri. 
<< Un giorno, l’uomo si è svegliato e si è accorto che la Terra è limitata(…) così alcuni hanno inteso che la terra, quindi il petrolio, il gas, l’acqua, era qualcosa di cui appropriarsi in fretta.>> Risultato finale di questa accurata indagine è che la violenza genera sempre altra violenza. <<Siamo un popolo di insicuri che si illude di poter risolvere i suoi innumerevoli problemi trovando un capro espiatorio (…) dovremmo procedere a cambiare le nostre abitudini, a ridurre gli sprechi, essere meno egoisti. Ma siamo sicuri che vogliamo veramente questo cambiamento? In fin dei conti forse questa società ci fa comodo, ci identifica e ci starà bene, almeno fino a quando non verranno scalfiti i nostri interessi.>>

Carla Dolce
ex allieva Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017

Recensione Federica Calia (a cura di) U. Orlev, Corri ragazzo corri, Salani, Firenze 2002, ISBN 9788884511676

U. Orlev, Corri ragazzo corri, Salani, Firenze 2002, ISBN 9788884511676


Corri Ragazzo Corri è una storia vera che narra la vicenda di un bambino ebreo di nome Srulik di otto anni che, durante la seconda guerra mondiale, visse in un ghetto di Varsavia assieme ai genitori, due fratelli ed una sorella e con i quali condusse una vita terribile nella più totale miseria.
Srulik, dopo essere rimasto senza genitori, poiché il padre era riuscito a fuggire e la madre era sparita nel nulla, decise di scappare e si unì con altri ragazzi ebrei; nel bosco imparò a sopravvivere giorno dopo giorno resistendo al gelo ed alla fame, diventò molto abile nel capire qualsiasi tipo di pericolo. Rincontrò il padre che gli disse di cambiare nome e di dimenticare il suo passato, ma di non scordare mai le sue origini ebree. Dopo svariati tentativi di sopravvivenza, in cui perse anche un braccio, i Russi riuscirono a mettere fine alla guerra e Srulik riuscì a salvarsi.
Questo romanzo è stato scritto da Uri Orlev, nato a Varvasia nel 1931, il cui vero nome è Jerzyk Oreowski, scrittore di romanzi e prevalentemente di letteratura per ragazzi. Egli decise di scrivere Corri Ragazzo Corri perché anche lui era ebreo ed ha vissuto un’esperienza difficile come quella del protagonista del libro.
Questo libro è molto commovente e lo consiglio a tutti i ragazzi perché Srulik ci insegna a non mollare mai di fronte alle difficoltà che la vita ti pone durante il suo percorso. Mi chiedo come sia riuscito a sopravvivere, senza genitori, senza affetti e con tutte le sofferenze che ha subito, senza mai arrendersi.
Federica Calia
III media Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016-2017

sabato 8 ottobre 2016

Recensione Samuele Uzzo (a cura di), I. Calvino, Il cavaliere inesistente, Mondadori, Milano 2011, ISBN 978-88-04-48202-4

                                         
I. Calvino, Il cavaliere inesistente, Mondadori, Milano 2011,   ISBN 978-88-04-48202-4 
                                  
Italo Calvino nasce a Cuba nel 1923 e muore a Siena nel 1985. Dopo gli studi e la Resistenza in Liguria, si laurea in lettere a Torino. Dal 1947 al 1983, lavora a vario titolo per l’editore Einaudi. Vive a Sanremo, a Torino, a Parigi e dal 1980 a Roma. Collaboratore di quotidiani e riviste, dirige insieme con Vittorini Il menabo’ di letteratura. Tra le sue opere ricordiamo: Il sentiero dei nidi di ragno (1947), Ultimo viene il corvo (1949), Il visconte dimezzato (1952), Fiabe italiane (1956), Il barone rampante (1957), I racconti (1958), Il cavaliere inesistente (1959), Marcovaldo (1963), Le cosmicomiche (1965), Ti con zero (1967), Le citta’ invisibili (1972), Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), Palomar (1983), Lezioni americane (1988). 
La storia narra di un cavaliere senza corpo di nome Agilulfo che, nonostante ciò, esiste e indossa sempre la sua armatura bianca. Durante una battaglia con i Saraceni, conosce un giovane cavaliere, Rambaldo, innamorato di Bradamante, unico cavaliere donna dell’esercito, la quale a sua volta è innamorata di Agilulfo. Una sera, durante la cena, alcuni alcuni cavalieri si vantano delle loro mirabili imprese. Le insinuazioni di Torrismondo sulle reali origini di Agilulfo e sul modo in cui diventa cavaliere sono la cornice all’interno della quale si snoda il racconto della vita del protagonista principale. 
L’autore si sofferma sulla figura del cavaliere inesistente (simbolo dell’uomo moderno) che appare privo di identità e pressoché inesistente agli occhi di tutti e del mondo che lo circonda. L’uomo del nostro tempo viene descritto da Calvino come smarrito, perso, fondamentalmente vuoto, proprio come risulta vuota la bianca armatura indossata dal protagonista del romanzo, Agilulfo.                                                                                            Un altro tema predominante nell’opera di Calvino è quello “dell’essere e dell’apparire”. Calvino, nella sua opera, si sofferma anche su altre tematiche, quali la consapevolezza di se stessi, la formazione dell’essere e, infine, la ricerca interiore. 
Per tali motivi, ritengo che il cavaliere  inesistente sia sicuramente  un testo consigliabile ai giovani lettori liceali e a tutti coloro che indagano e si interrogano circa i problemi legati all’uomo in quanto membro della società moderna.
Samuele Uzzo
V liceo Istituto S. M. Mazzarello

A.S. 2016/2017

mercoledì 5 ottobre 2016

Recensione Carla Dolce (a cura di) F. De Roberto, I Viceré, Newton Compton, Roma 2014, ISBN 978-88-541-6556-4

F. De Roberto, I Viceré,  Newton Compton, Roma 2014, ISBN 978-88-541-6556-4
                                                                                                                                                                                                                                                             
Federico De Roberto, intimo amico di Verga e Capuana, nasce a Napoli nel 1861 e muore a Catania nel 1927. I Viceré, pubblicato nel 1894, è una delle opere più importanti della letteratura italiana, ciò nonostante non ha portato il giovane autore al successo sperato. Fra gli altri romanzi scritti da De Roberto, ricordiamo L’Illusione (primo romanzo del ciclo degli Uzeda), La Sorte e Processi verbali.
Il romanzo storico I Viceré è uno dei migliori libri che io abbia mai letto finora. Ambientato a cavallo fra gli anni dell’Unità d’Italia e il periodo che la precede, questo libro è riuscito perfettamente ad incarnare la realtà, descrivendola in modo molto diretto tramite le vicende dell’aristocratica famiglia di origine spagnola residente a Catania, la famiglia Uzeda di Francalanza. 
La morte della principessa, segna la fine del periodo borbonico e sancisce l’inizio delle rivolte e delle riforme che porteranno in seguito all’unificazione del Paese. I personaggi del romanzo hanno tutti caratteri molto diversi tra loro e, sebbene siano sette fratelli, ognuno pensa prettamente a se stesso, curandosi solamente dei propri interessi e infischiandosene delle ragioni dei fratelli e dei  diritti altrui. Soprattutto Giacomo, principe della casata e primo maschio di sette figli, si occupa esclusivamente dei propri affari, preoccupandosi più di arricchirsi personalmente e di spogliare i suoi fratelli della loro parte di testamento lasciato dalla madre, che della felicità dei propri familiari. 
Fin da bambino, cresciuto da una madre che ha sempre preferito gli altri fratelli a lui, è stato abituato a regole molto rigide e adesso fa la stessa cosa con i suoi due figli: Consalvo e Teresa. Consalvo (poi diseredato dal padre sul letto di morte), bambino molto testardo e ribelle al padre, viene chiuso in un monastero fin dalla tenera età. Lì, oltre a diventare intimo amico di Giovannino Radalì (in futuro, spasimante della sorella), sente parlare dell’arrivo di Garibaldi, e quindi comincia a sperare nella “liberazione” del Monastero per poter scappare da quel luogo e cominciare finalmente a vivere. 
Spera di non divenire mai freddo e brusco come suo padre, ma l’odio che nutre verso quest’ultimo, col passare del tempo, non fa che aggravarsi sempre più, soprattutto dopo la morte della madre Margherita e le nuove nozze del padre con Graziella. 
In seguito a un viaggio in giro per il mondo, si rende conto che il suo titolo di principe di Francalanza non serve a nulla: nessuno sa della sua esistenza e nessuno lo ritiene importante come a Catania, così, accecato dalla voglia di avere fama e successo, inizia a fare esattamente ciò che faceva il padre, ovvero cercare di accumulare sempre più potere e arrivare sempre più in alto, a qualunque costo, senza nessuno scrupolo. Non esprime nessuna ideologia politica, o meglio cerca di assecondare tutti facendo buon viso a cattivo gioco, fa ciò che reputa conveniente e che potrà essergli comodo in futuro, riesce a diventare sindaco di Catania e dopo, per saziare la sua sfrenata cupidigia, si candida come deputato al governo del regno d’Italia, tradendo la stima dello zio Benedetto Giulente, anch’egli candidato. 
La sorella Teresa, ragazza molto religiosa e obbediente, invece, è il suo esatto contrario: esegue tutto quello che il padre e la matrigna le dicono, cerca di rendere tutti felici e addirittura rinuncia all’amore per Giovannino (che dopo vari anni si suiciderà per questo) per sposare Michele, il fratello di quest’ultimo, tutto ciò per non dare un dispiacere alla sua famiglia. Lucrezia, sorella del principe Giacomo, dopo aver sognato per anni di sposarsi con il garibaldino Benedetto Giulente, e quindi essere pronta a litigare per lui con la sua famiglia borbonica e conservatrice, dopo le nozze inizierà a denigrare sempre di più il marito, sindaco di Catania prima di Consalvo, a trattarlo in malo modo e a parlarne male davanti alla gente. Chiara, altra sorella di Giacomo, dopo essere stata costretta dalla madre a suon di frustate a sposare il marchese Federico, inizierà ad amarlo sproporzionatamente, fino a quando, nascerà il bambino del marito e di una serva, al quale dedicherà anima e corpo come fosse suo figlio, cominciando ad annientare il mondo circostante. Raimondo, fratello del principe e prediletto dalla madre, infrangerà le regole del suo rango provocando anche litigi e contrasti in famiglia per ottenere l’annullamento del suo primo matrimonio e potersi risposare. Ferdinando, chiamato il babbeo, sciocco e solitario, fratello anch’egli di Giacomo, conduce quasi tutta la sua vita in campagna, dedicandosi alle sue amate ghiande, ma alla fine, abbandonerà quella che per anni era stata la sua unica ragione di vita per trasferirsi in città e vivere nel lusso più totale. Inoltre, Lodovico e Crocifissa, sono i due fratelli destinati dalla madre alla vita monastica. 
Insomma, una famiglia molto grande e molto “strana”: ognuno pensa solo a soddisfare le proprie esigenze, senza crearsi alcun problema nel limitare le possibilità degli altri, tutti agiscono per tornaconto personale. Tutti o quasi tutti i personaggi, nel corso degli anni, mutano completamente, cambiando in maniera drastica, ma alcuni, tornano alla fine ad essere come in origine: ad esempio  Lucrezia, dopo aver odiato per anni il marito in seguito ad uno schiaffo ricevuto da quest’ultimo, scoprirà di amarlo ancora come prima; o Chiara, che non appena avrà avuto ciò che di più desidera dalla vita tornerà a disprezzare il marito, dedicandosi interamente al bambino che, per altro, la tratta come una schiava. O ancora, trovo quasi assurda la totale indifferenza di Teresa che, per non far soffrire suo padre, preferisce soffrire lei per il resto della vita. Comico è invece il personaggio di Don Blasco, monaco zio del principe: dopo aver vissuto la sua vita al monastero - ma comunque senza mai rinunciare alla vita mondana - nel momento in cui vengono aboliti i privilegi del clero e il monastero viene sgomberato, ruba le ricchezze lì presenti per garantirsi un avvenire. Alla sua morte, scoppia un’altra lite in famiglia per l’autenticità del testamento. 

Quindi, alla fine si torna al punto di partenza, commettendo gli stessi errori: se quando c’erano i Borboni, gli Uzeda erano molto uniti a questi e avevano molto potere, adesso, al tempo dell’Unità del paese, ci si adeguerà a raggiungere il potere in altro modo. Non a caso, l’ultima frase del romanzo recita: <<Io e mio padre non siamo andati d’accordo, ed egli mi diseredò; ma il vicerè Ximenes (discendente degli Uzeda) imprigionò suo figlio, lo fece condannare a morte (…) la storia della nostra famiglia è piena di conversazioni repentine, di simili ostinazioni nel bene e nel male (…) no, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa>>.

Carla Dolce
ex allieva Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017

Recensione Adriana Bellisà (a cura di) K.Stockett, The Help, Mondadori, Milano 2009, ISBN: 978-88-04-62863-7


K.Stockett, The Help, Mondadori, Milano 2009, ISBN: 978-88-04-62863-7
Kathryn Stockett è nata a Jackson, in Mississipi, nel 1969. Cresciuta nella sua città natale, consegue la laurea in Inglese e Scrittura Creativa all'Università dell'Alabama. Trasferitasi a New York, lavora nel settore pubblicitario di settimanali e quotidiani.
Per scrivere il suo primo libro, impiega cinque anni e dopo diversi rifiuti, il manoscritto viene finalmente accettato da Susan Ramer. Diventa successivamente un best seller e viene tradotto in tre lingue e pubblicato in più di 30 paesi.
Il romanzo è ambientato a Jackson agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso. Le protagoniste sono tre donne diverse tra loro, ma con lo stesso sogno: raccontare quello il "dietro le quinte" del mestiere di domestica. La prima è Aibileen, una domestica saggia e dolce, che ha allevato decine di bambini, facendo spesso le veci delle madri assenti. Minny è la sua migliore amica. Anche lei è una domestica ma, a differenza di Aibileen, è probabilmente la "donna più sfacciata del Mississipi". La terza donna, invece, è Eugenia Phelan (detta da tutti Skeeter per il suo carattere pungente e il suo esile corpo), una giovane donna bianca che dopo l'università torna a vivere dai suoi genitori. A differenza di tutte le sue amiche, Skeeter non ha abbandonato gli studi per sposarsi, così, dopo la laurea, decide di trovarsi un lavoro al giornale locale. Sfortunatamente, il redattore la deride e le assegna una rubrica di detersivi. È qui che inizia la vera storia.
Skeeter, non avendo alcuna idea di come funzioni il mondo dei detersivi, chiede ad Elizabeth se la sua colf, Aibileen può aiutarla nel suo lavoro. Non passa molto tempo che le due diventano amiche e a Skeeter viene un'idea rivoluzionaria: scrivere un romanzo sulle donne di colore e sul lavoro che svolgono. Nonostante l'esitazione iniziale, Aibileen accetta e coinvolge anche Minny che, nel frattempo, era stata licenziata da Hilly Holbrook, una delle migliori amiche di Eugenia, dopo essere stata accusata di furto.
I giorni passano e un numero sempre maggiore di afroamericane desidera far parte del romanzo della giovane donna la quale, nel frattempo, comincia ad essere isolata dalle proprie amiche (dato che non appoggiava alcune idee come, ad esempio, quella di un bagno esterno per le domestiche). Skeeter, però, ha un altro segreto: vuole ritrovare la sua balia, Costantinte, scomparsa in circostanze misteriose.
Dopo aver scoperto che la donna che l'ha cresciuta si è trasferita a Chicago per ritrovare la figlia perduta, Eugenia è ancora più determinata a raccontare la verità.
Successivamente alla pubblicazione del libro, Skeeter si trasferisce a New York dove lavora come aiuto redattrice in una famosa casa editrice; Aibileen smette di lavorare come domestica, dopo essere stata licenziata da Elizabeth (sotto l'influenza di Hilly) e Minny si trasferisce assieme ai suoi figli a Foote, abbandonando così il violento coniuge.
Penso che non possa esistere libro più coinvolgente e veritiero di questo. È interessante conoscere la storia americana del razzismo. Dietro i personaggi di Skeeter, Minny ed Aibileen non si nascondono delle semplici donne stufe della società in cui vivevano, bensì centinaia di migliaia di esseri umani che hanno sopportato per anni umiliazioni simili a quelle descritte nel romanzo e che, grazie a persone come Martin Luther King e Rosa Parks, sono riusciti a far sentire la loro voce, ottenendo finalmente i diritti da loro tanto desiderati.



Adriana Bellisà
V Liceo Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017

lunedì 3 ottobre 2016

Recensione Gabriele Chiovaro (a cura di) F. Uhlmann, L'amico ritrovato, Feltrinelli editore, Milano, 2013, ISBN 9788807880735

F. Uhlmann, L'amico ritrovato, Feltrinelli editore, Milano, 2013, ISBN 9788807880735

L'amico ritrovato di Fred Uhlman è una riflessione sull'antisemitismo, nonché sulla dittatura nazista, attraverso il racconto di una forte amicizia, quella di Hans Schwarz e Konradin von Hohenfels, rispettivamente un ragazzo ebreo e uno tedesco.
Il romanzo inizia con il ricordo dettagliato ed estremamente preciso di Hans, risalente al febbraio 1932. Quello, infatti, fu il giorno in cui Konradin giunse nella classe di Hans ma soprattutto, come Hans stesso afferma, il giorno in cui Konradin entrò nella sua vita per non uscirne più. Ciò che da subito colpì di Konradin furono la sua eleganza, il suo portamento, la sua fierezza, il fatto che “trasudava agio e distinzione”. Per tutte queste sue caratteristiche, Hans non ebbe da subito il coraggio di rivolgere a Konradin la parola, solo il pensiero gli metteva agitazione ed inoltre si sentiva frenato perché si chiedeva cosa gli avrebbe potuto offrire lui che era un semplice figlio di medico ebreo.
Hans però sapeva che un giorno i due sarebbero diventati amici. Egli aveva un ideale romantico di amicizia, cercava qualcuno da ammirare, che fosse in grado di comprendere il suo bisogno di fiducia, di lealtà, qualcuno per cui dare volentieri la vita e da subito pensò che Konradin potesse rispecchiare questo suo modello di amico. Perciò Hans cercò in ogni modo di attrarre l'attenzione di Konradin fino a che, un giorno, portò a scuola una collezione di monete greche che Konradin chiese di guardare. Da quel giorno, Konradin si avvicinò sempre più ad Hans fino a che divennero inseparabili. Il loro legame si fece ogni giorno più forte, passavano insieme pomeriggi interi ed entrambi erano pronti ad ascoltarsi a vicenda sia su argomenti leggeri come le ragazze, sia su temi più impegnativi come l'esistenza di Dio.
La loro amicizia era perfetta ma, con il passare del tempo, qualcosa insospettì Hans: egli non capiva perché, mentre Konradin aveva tranquillamente conosciuto i suoi genitori, l'amico lo invitava a casa solo quando i suoi non erano presenti. Le cose peggiorarono con l'avvento di Hitler perché da quel momento l'antisemitismo prese il sopravvento, a scuola i professori diffondevano le tesi razziali e anche tra i compagni di classe si sentiva ed era evidente l'odio verso gli ebrei. Per questo motivo, i genitori di Hans decisero di mandarlo in America. Konradin inviò una lettera all'amico prima della partenza, in questa lettera oltre a dirgli quanto fosse dispiaciuto per la partenza, mostrava chiaramente il suo fascino e la sua ammirazione verso Hitler.
Da quel momento, la vita di Hans cambiò radicalmente, studiò legge ad Harvard, divenne avvocato e sposò una ragazza da cui ebbe un figlio e di Konradin non seppe più nulla fino a che ricevette una richiesta di fondi dal suo vecchio liceo per la costruzione di un monumento funebre in memoria degli studenti morti in guerra.
La conclusione del romanzo sconvolge del tutto le aspettative e anche per questo mi è davvero piaciuto molto. Quando si parla di antisemitismo, un'amicizia tra un ragazzo tedesco e uno ebreo è un qualcosa di surreale, eppure il ragazzo tedesco dà la propria vita, pur di porre fine a questo orribile fenomeno di razzismo, con un complotto segreto per uccidere Hitler. Tenendo all'oscuro Hans di tutto ciò, per la sua incolumità, l'amicizia tra loro finisce, ma nel cuore di Konradin si accende una luce di salvezza e la loro amicizia, in questo modo, resta viva.
                                                                                                                                                              
  Gabriele Chiovaro
  III media Istituto S. M. Mazzarello
  A.S. 2016/2017
                                                                                                                                                                  

domenica 2 ottobre 2016

Recensione Martina Mazzola (a cura di) H. Hemingway, Il vecchio e il mare, Mondadori, Milano 2000, ISBN 9788804488255


H. Hemingway, Il vecchio e il mare, Mondadori, Milano 2000, ISBN  9788804488255

Il vecchio e il mare è il più celebre romanzo d'avventura di Hernest Hemingway. È la storia di Santiago un vecchio pescatore che, colpito dalla sfortuna, non riesce a pescare da circa tre mesi. Il suo aiutante, Manolin, nonostante i genitori l'abbiano allontanato dal vecchio, continua a frequentare, ma soprattutto a pensare al suo maestro. Di pesca e di vita. Un giorno Santiago decide di riprovare a pescare e, una volta in mare aperto, riesce a far abboccare un enorme pesce spada. Tra i due inizia una lotta che dura due giorni e che alla fine vede Santiago ottenere la meglio. Nella strada del ritorno, gli squali strappano un pezzo alla volta la preda e, una volta tornato a casa, del pesce rimane solo il simbolo della maledetta sconfitta.
Si ritrova di nuovo solo a mani vuote, ma orgoglioso di aver combattuto dignitosamente senza l'aiuto di altri. Trova dentro di sé il coraggio che gli fa vedere questo evidente fallimento come una vittoria individuale.
È un libro semplice dal punto di vista stilistico ma allo stesso tempo difficile da interpretare.
È un libro di dimensione piccola ma assolutamente di grande importanza.
È un libro che parla di sconfitte ma anche di vittorie.
È un libro che insegna e che fa bene.
È un libro che è entrato nella storia e non ne uscirà più.

Martina Mazzola 
III media Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017

Recensione Carla Dolce (a cura di) K. Harmel, Finché le stelle saranno in cielo, Garzanti, Milano 2012, ISBN 978881168411-4

K. Harmel, Finché le stelle saranno in cielo, Garzanti, Milano 2012, ISBN  978881168411-4                                                                                                    

Kristin Harmel nasce a Boston nel 1979. Appassionata di scrittura sin da quando era una bambina, a soli sedici anni inizia a collaborare con alcune testate americane come reporter. Dopo la laurea in letteratura, comincia a scrivere per  People, dove lavora tutt’oggi.
Finché le stelle saranno in cielo è un romanzo contemporaneo, ambientato tra Stati Uniti e Francia. Rose, la protagonista, è una donna di circa ottant’anni che, a causa dell’Alzaheimer, sta per perdere completamente la memoria; a volte, però, ricorda con precisione alcuni eventi accaduti durante la sua giovinezza. Sarà proprio grazie ai suoi pochi ma lucidi ricordi, che sua nipote Hope potrà ricostruire la sua storia, che incanterà notevolmente il lettore, lasciandolo senza parole. 
Rose, di origine francese ed ebraica, molti anni prima è stata costretta a scappare da Parigi, la sua città, a causa dell’Olocausto; una volta giunta negli Stati Uniti, decide di cambiare identità e dimenticare il suo triste passato. Tante saranno le sorprese che ci rivelerà la scrupolosa ricerca della verità condotta da Hope. Alla fine del romanzo, Rose, prima di morire, ritroverà Jacob, il grande amore della sua vita, del quale non aveva più notizie da oltre sessant’anni. 
Quando ho iniziato a leggere questo romanzo, sinceramente non pensavo potesse stupirmi così tanto. L’ho trovato più bello ed interessante di come inizialmente mi era sembrato. Più il lettore si cimenta nella lettura, più ne rimane piacevolmente sorpreso. Uno dei temi principali, a mio avviso, è la necessità di fare chiarezza a proposito di ciò che avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale: notizia di cui non tutti sono a conoscenza - e che anch’io, prima di leggere questo libro, ignoravo completamente - è l’aiuto offerto agli ebrei in fuga dai musulmani. Essi ospitarono ed aiutarono moltissimi ebrei durante l’Olocausto, accogliendoli in casa propria e aiutandoli a fuggire. 
Secondo me, questo vuol dire che tutti, indipendentemente dalla religione professata, o dalle proprie credenze, possono e devono cercare di aiutare l’altro, semplicemente per il fatto che come tutti noi, anche l’altro ha il diritto di vivere dignitosamente. Questo argomento, in un certo senso, potrebbe ricollegarsi all’attuale fenomeno dell’immigrazione, in quanto anche i migranti di oggi sono in fuga da condizioni di vita disumane e, venendo qui, sperano di poter trovare un futuro migliore. L’autrice vuole mettere in luce una realtà quasi sconosciuta e per farlo racconta, con un linguaggio semplice e scorrevole, la drammatica storia di Rose. 
Alla fine del romanzo, ci sono cinque pagine nelle quali l’autrice risponde ad alcune domande sul suo libro. Ecco una parte che mi ha particolarmente interessato, tratta dalla conversazione con Kristin Harmel: <<Dobbiamo capire che, alla fine, siamo tutti esseri umani che desiderano le stesse cose: pace, amore, sicurezza (…) e credo che anche le grandi religioni del mondo abbiano in comune più di quanto la maggior parte della gente si aspetti (…) la mia religione mi insegna che siamo diversi appositamente, cosicché possiamo imparare gli uni dagli altri. Più impariamo, più cresciamo insieme, la conoscenza abbatte il pregiudizio>>.                                                                                                            

È un libro che, a tratti, fa commuovere e sensibilizzare il lettore ma, al contempo, lo spinge a sorridere, facendogli notare la bellezza e l’importanza di trascorrere la propria vita ricercando l’amore e  la vera felicità, senza mai arrendersi. 
Carla Dolce
Ex allieva Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017

Recensione Carla Dolce (a cura di) I. Allende, La casa degli spiriti, Feltrinelli, Milano 2015, ISBN 978-88-07-88027-8

I. Allende, La casa degli spiriti, Feltrinelli, Milano 2015, ISBN 978-88-07-88027-8                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          

Isabel Allende nasce a Lima, in Perù, nel 1942, ma vive in Cile fino al 1973 lavorando come giornalista. Dopo il golpe di Pinochet, si stabilisce in Venezuela e, successivamente, negli Stati Uniti.  È considerata una delle voci più importanti della narrativa in lingua spagnola.
Il romanzo storico La casa degli spiriti” - ambientato in Cile nel periodo antecedente al colpo di stato militare del 1973, che portò all’ascesa Pinochet - racconta gli eventi socio-politici realmente accaduti nel Paese, attraverso le passioni, i segreti e gli amori della famiglia Trueba-Del Valle. 
Attraverso le vicissitudini dei personaggi della storia, descritti accuratamente nell’aspetto e nel carattere, scopriremo la realtà del Cile prima del golpe: le enormi disuguaglianze fra le varie classi sociali e le forti differenze fra la borghesia e il popolo. 
Il protagonista Esteban Trueba - proprietario della tenuta Le Tre Marie e politico di destra prima del colpo di stato - dopo essersi arricchito e occupato per anni esclusivamente del suo lavoro, alla fine, proprio a causa delle terribili circostanze nelle quali si trova il suo Paese, capirà per la prima volta di amare la sua famiglia, e di essere disposto a qualunque cosa per tutelarla. Smetterà, dunque, di ostacolare l’amore fra la figlia Blanca e il contadino della sua tenuta, Pedro, il quale parteciperà alla rivoluzione. Clara, moglie di Esteban, è una creatura molto particolare: oltre ad essere chiaroveggente, trascorre la sua esistenza avvolta nei ricordi della sua giovinezza, vivendo in un mondo tutto suo. Alle loro vicende, si intrecciano le storie degli altri protagonisti, tutti con degli ideali e dei sogni da realizzare.
A mio parere, l’autrice, mescolando realtà e fantasia, rende scorrevole il racconto di un delicato momento storico, descrivendolo in maniera precisa e dettagliata, senza mai renderlo pesante e noioso. Il mio personaggio preferito è Alba, la figlia di Blanca e Pedro, perché è l’unica in famiglia in grado di addolcire il severo carattere del nonno Esteban; determinata nelle sue decisioni, quando inizieranno gli arresti nei confronti degli oppositori al governo, li ospiterà in casa sua senza paura delle conseguenze. 
La vita dei personaggi, la peculiarità che contraddistingue ogni singolo protagonista rendendolo unico rispetto agli altri e la scrittura avvincente mi hanno fatto amare questo romanzo.

Carla Dolce  
Ex allieva Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017                                                                          

sabato 1 ottobre 2016

Recensione Maria Chiara Coppola (a cura di) J. Green, Città di carta, Rizzoli, Milano 2008, ISBN: 978-88-17-03599-6

J. Green, Città di carta, Rizzoli, Milano 2008, ISBN: 978-88-17-03599-6


Città di carta di John Green – autore pluripremiato, in vetta alle classifiche del New York Times grazie anche al precedente romanzo “Colpa delle stelle” (Rizzoli) –, è la storia di una fuga inaspettata, quella di Margot, una giovane studentessa che, a pochi giorni dal diploma, sparisce misteriosamente. Quentin Jacobsen, timido, remissivo e ligio al dovere, è sempre stato innamorato della ribelle, avventurosa e misteriosa Margot Roth Spiegelman fin da quando, da bambini, hanno condiviso un’inquietante scoperta.

Con il passare degli anni, il loro legame speciale sembra essersi spezzato: Quentin si è gettato a capofitto nello studio, suona nella banda della scuola, odia l’idea del ballo di fine anno e passa i pomeriggi a giocare ai videogiochi con i suoi due migliori amici, Ben e Marcus; Margot è la ragazza più popolare della scuola, seduta sul sedile passeggero della decappottabile del ragazzo più popolare, circondata da amiche bellissime. Ma, alla vigilia del diploma, Margot appare all’improvviso alla finestra di Quentin perché ha bisogno del suo aiuto per vendicarsi della sua migliore amica e lo trascina in piena notte in un’avventura indimenticabile.

Fra effrazioni, vandalismo e un romantico ballo all’ultimo piano di un grattacelo, riesce a scoprire qualcosa sulla ragazza che è diventata la sua migliore amica d’infanzia. Forse le cose possono cambiare, forse tra di loro tutto ricomincerà. La mattina dopo, però, Margot scompare misteriosamente e Quentin scopre degli indizi che potrebbero rivelargli dove è andata. Tutti credono che si tratti di un altro dei suoi colpi di testa, di uno dei suoi viaggi on the road che l’hanno resa leggendaria a scuola. Ma questa volta è diverso.

Il romanzo è una riflessione su cosa significa vivere davvero, sull’importanza dell’amicizia e dell’amore ma anche sul diventare grandi, crescere e lasciarsi alle spalle la spensieratezza dell’adolescenza. Se “ogni istante della nostra vita è pensato in funzione del futuro”, Margot invece è sul punto di negare ogni cosa, lasciando un vuoto che sembra chiedere soltanto una risposta immediata alla propria famiglia e agli amici di scuola: <<Ognuno all’inizio è una nave inaffondabile. Poi ci succedono alcune cose: persone che ci lasciano, che non ci amano, che non ci capiscono o che noi non capiamo, e ci perdiamo, sbagliamo, ci facciamo del male, gli uni agli altri. E lo scafo comincia a creparsi. E quando si rompe non c’è niente da fare, la fine è inevitabile. (…) Però c’è un sacco di tempo tra quando le crepe cominciano a formarsi e quando andiamo a pezzi. Ed è solo in quei momenti che possiamo vederci, perché vediamo fuori di noi dalle nostre fessure e dentro gli altri attraverso le loro>>.

Solo Quentin sarà disposto a mettersi alla prova fino in fondo e, grazie a un percorso difficile e faticoso, sarà capace di ascoltare la richiesta di aiuto di Margot.

Cosa vuol dire Città di Carta e quale significato multiplo viene attribuito dall’autore all’espressione del titolo? Spiega John Green: <<Essenzialmente, volevo una definizione diversa di “città di carta” per ogni sezione del libro, ognuna delle quali rappresentasse un modo differente dell’immaginazione di Margot proposta da Quentin. Nella prima parte, Quentin vede Margot in una sola delle sue dimensioni. Per lui, la ragazza ha lo spessore della carta, non è nient’altro che l’oggetto del suo desiderio. Nella seconda parte, lui vede una ragazza che è metà presente e metà assente, quindi inizia a pensare a lei con maggiore complessità, ma ancora senza pensare a lei veramente come un essere umano. Nella parte finale del romanzo, l’immagine nel complesso riconnette Quentin a Margot, ma non nel modo in cui lui avrebbe sperato>>.

Maria Chiara Coppola
V liceo Istituto S. M. Mazzarello

 A.S. 2016/2017

Recensione Elena Amico (a cura di) P. Hawkins, La ragazza del treno, Piemme, Milano 2015, ISBN: 8022264835046

P. Hawkins, La ragazza del treno, Piemme, Milano 2015, ISBN: 8022264835046

Paula Hawkins nata a Harare, in Zimbabwe, figlia di un professore di economia e giornalista finanziario, si trasferisce a Londra a 17 anni. Ha studiato filosofia, politica ed economia presso l’Università di Oxford e successivamente ha lavorato come giornalista per il Times. Come freelance ha pubblicato molti articoli e ha scritto un libro di consulenza finanziaria per le donne. Raggiunge il successo commerciale con il romanzo thriller La ragazza del treno, diventato bestseller negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna con oltre 3 milioni di copie vendute solo negli USA.

Ogni giorno lo stesso tragitto, il medesimo treno ed i suoi soliti pensieri. Alle 8.04 il treno inizierà la sua marcia che la porterà dalla periferia al suo grigio lavoro in città. Ma Rachel non ha più un lavoro è una ragazza sola, depressa, divorziata, alcolizzata e senza più alcuno scopo nella vita. Così ogni mattina, per ingannare la propria coinquilina Cathy, fa finta di andare al lavoro e in quel breve tragitto è preda di pensieri sulla vecchia Rachel, determinata e soddisfatta, e sulla nuova, arrendevole e insoddisfatta. Durante il viaggio ama osservare, non vista, le vite delle persone che intravede dal proprio finestrino: in particolare, la sua attenzione cade sul civico 15 di Blenheim Road, la strada dove abitava con il suo ex marito Tom e dove quest’ultimo vive adesso con Anna, la nuova moglie. Lì vivono Jess e Jason, una coppia dalla vita perfetta, non come la sua, sulla quale ama fantasticare.

Tuttavia, la rassicurante invenzione di Jess e Jason si sgretola, di Jess si perde ogni traccia. È così che Rachel apprende che Jess è Megan e Jason, Scott; che la loro relazione è problematica ed assiste a qualcosa che non avrebbe dovuto vedere, legando inestricabilmente la sua vita a quella della coppia. Rachel decide così di venire a capo del mistero che avvolge la scomparsa di Megan, scoprendo fatti sconvolgenti sulla vita di Scott, Megan, Anna e sul suo ex marito, fatti che rischieranno di costarle la vita e che le faranno riconsiderare tutta la sua esistenza, portandola ad una rinascita. 

Il libro è un thriller molto fluido alla lettura, in quanto le vicende, attraverso uno sorta di diario, vengono narrate da diversi punti di vista. Tuttavia, ciò comporta spesso l’impossibilità di creare una qualsiasi connessione con i personaggi. Risulta molto accattivante il modo in cui l’autrice, attraverso molte soluzioni letterarie, riesce a tenere il lettore con il fiato sospeso e coinvolgere quest’ultimo nella soluzione degli enigmi.

Elena Amico
V liceo Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017