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venerdì 30 settembre 2016

Recensione Roberta Pollarolo (a cura di) J. Verne, Ventimila leghe sotto i mari, Etirem, Milano 2004, ISBN 978-88-83-371-646.

 J. VerneVentimila leghe sotto i mari, Etirem, Milano 2004, ISBN 978-88-83-371-646

Penso che chiunque sia nato dopo 1870 abbia sentito parlare del grande Capitano Nemo e del suo incredibile Nautilus.

La storia inizia con una misteriosa creatura che terrorizza i navigatori di tutto il mondo: navi affondate o scomparse misteriosamente, marinai tra i più esperti spariti senza lasciare alcuna traccia.

Il grande mostro tanto temuto altro non è che il Nautilus, un incredibile sottomarino costruito con una tecnologia futurista, creazione e rifugio del grande capitano Nemo. Il pirata, filosofo, scienziato e capitano del Nautilius, Capitano Nemo, è la figura più misteriosa, curiosa e contraddittoria nonché la più importante del romanzo più famoso di Jules Verne. Di lui si sa poco: uomo di poche parole, colto e saggio. La sua profonda conoscenza incanta gli altri personaggi del libro, in particolare ammalia il Professore Annorax, stimato e acclamato naturalista, costretto ad uno stato di prigionia nel sottomarino insieme ai suoi due compagni.
Il romanzo è ambientato nel 1867, nel periodo successivo alla guerra di secessione, e descrive in maniera attenta il mondo europeo ottocentesco, esponendo parallelamente novità e cambiamenti del tempo. 
Si tratta di un classico senza tempo, una delle avventure più famose della letteratura, fonte di ispirazione per cinema e TV.

In questo classico intramontabile della letteratura, l’autore mostra il profondo amore per il mare, di cui ci descrive non solo le tecniche di navigazione, ma anche tutto quello che lo popola nei minimi dettagli, permettendo al lettore di immergersi in un mondo fantastico e inaspettato.
Le pagine di Ventimila leghe sotto i mari, storicamente datate al secolo scorso, possono sembrare inizialmente noiose a causa della loro forma arcaica e complessa rispetto al linguaggio giovanile, tuttavia ogni parola nasconde la magia, la scoperta e il progresso non solo scientifico e tecnologico, ma anche umano: una sorta di vera e propria “Rivoluzione copernicana della società”.

Roberta Pollarolo
V liceo Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017 


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Recensione Viviana Lentini (a cura di) I.M.D., Il vurricatore. Storie di uomini e di mafia, edizioni Leima, Palermo, 2013 ISBN 978-88-98395-01-9

I.M.D., Il vurricatore. Storie di uomini e di mafia, edizioni Leima, Palermo, 2013 ISBN 978-88-98395-01-9


I.M.D. è uno scrittore fuori dal comune. L’autore, infatti, è Sovrintendente della Polizia di Stato, fa parte dei quadri direttivi del S.I.A.P.  (Sindacato Italiano Appartenenti Polizia) e lavora alla sezione Catturandi della Squadra Mobile di Palermo. Ha partecipato agli arresti di numerosi latitanti molto noti del calibro di Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Vito Vitale, Salvatore e Sandro Lo Piccolo. I.M.D ha inoltre collaborato a importanti indagini antimafia come ad esempio quella che ha portato alla cattura del boss Bernardo Provenzano.

L’autore ha pubblicato con Dario Flaccovio vari romanzi come Catturandi nel 2009; 100% sbirro nel 2010, quest’ultimo vincitore, nel 2012, del Premio Ninni Cassarà del Comune di Carini; nel 2011, il romanzo Dragoni e lupare

Nel 2010, ha ricevuto il Premio Nazionale Paolo Borsellino per l’impegno profuso in  difesa e per la promozione dei valori della libertà, della democrazia e della legalità. 
Per il romanzo Il Vurricatore. Storie di uomini e di mafia, pubblicato nel 2013, l’autore ha deciso di devolvere il suo compenso all’Associazione No-profit 100x100 in  movimento-Rete Cento Passi

Il romanzo Il Vurricatore. Storie di uomini e di mafia, edito da LEIMA, è introdotto dalla Prefazione di Pif che descrive con attenzione l'impronta che la mafia, ormai da molto tempo, ha lasciato nel nostro Paese: <<Quindi noi possiamo andare avanti dicendoci che la mafia non è tanto presente nella nostra vita>>, <<Così quando ti dicono che cambiano i nomi, ma i fatti sono veri, ci rimani male. Perché un po’ ti vergogni, alla tua età, di sorprenderti ancora pensando che una cosa del genere possa essere successa nella tua città>>. Con queste parole, Pif ci fa comprendere che la mafia ha lasciato nel nostro Paese un segno molto sgradevole e triste, non solo per le numerose vittime, ma anche per la fama che l’Italia - e in particolare la Sicilia - ha assunto nel resto del mondo. Inoltre, la prefazione ci invita anche a riflettere sulle tante persone - compreso l’autore del testo - che, ogni giorno, combattono per uno dei valori più importanti: la legalità.

La storia viene raccontata dal Sovrintendente della Polizia di Stato e membro della sezione Catturandi della Squadra Mobile di Palermo che, a distanza di anni, si rende conto di aver avuto come compagni di classe alcuni membri della malavita. 

Voce narrante è Mario Castrogiovanni, un commissario capo della Polizia di Stato i quale ci racconta ciò che lo ha spinto a lasciare il suo paese di nascita per diventare poliziotto. Il suo racconto si incentra soprattutto sulla figura di un suo compaesano Calogero Palazzolo, chiamato da tutti Lillino, un suo compagno di scuola che da grande sceglie di intraprendere un percorso del tutto opposto a quello di Mario. Infatti, Lillino Palazzolo  (che è liberamente ispirato alla figura di Gaspare Pulizzi, mafioso legato alla famiglia di Carini, oggi divenuto collaboratore di giustizia), entra fin da giovane a far parte della cosca mafiosa di Cosa Nostra solo per riuscire a guadagnare soldi che non avrebbe mai potuto ottenere conducendo una vita regolare. Il racconto della vita di Lillino, infatti, sembra quello di un destino comune a molti ragazzi che, nelle periferie delle città siciliane, cercano aiuto per fuggire alle condizioni economiche precarie delle famiglie di appartenenza. 

Inizialmente, la vita di Lillino ci viene presentata come una vita normale: i suoi genitori gestiscono un negozio di autoricambi ed un'autofficina, assieme ai loro tre figli ma, poiché una delle caratteristiche fondamentali della mafia è la cosiddetta messa a posto (ovvero il pizzo che la mafia richiede per la protezione del negozio), così anche la famiglia di Lillino è costretta ogni mese a versare dei soldi  per non vedere la propria attività finire nel nulla. 

Lillino, inizialmente, da giovane ingenuo non comprende il motivo della visita mensile di due uomini dall’aspetto strano che venivano a prendere i soldi e allora chiede spiegazioni al fratello maggiore che gli risponderà che il pagamento è dovuto per essere protetti. Un giorno, proprio mentre Lillino si trova nel negozio di famiglia, riceve la visita per la riscossione. In quel momento si colloca il suo primo dialogo con la mafia. Da quel giorno, non se ne separerà mai più diventando, in breve tempo, il vurricatore, ovvero il seppellitore ufficiale della famiglia mafiosa alla quale si era affiliato.

Il libro è molto interessante e riesce a farci comprendere il triste destino di molti ragazzi che, vivendo in condizioni economiche disagiate, decidono di intraprendere la via più facile. Il testo, però, ha un finale inaspettato e mostra come il protagonista, grazie anche alla forza dell’amore che lo lega alla moglie e alla figlia, riesce a svincolarsi dalla morsa mortale della criminalità organizzata. 


Una cosa che mi ha colpito molto è il fatto che Lillino non aveva mai compiuto degli omicidi e quando si trova costretto a compiere due atti terribili, torna a casa, guarda sua moglie e la sua bambina che dorme e prova un senso di inquietudine che mai sentito fino a quel momento. Ed è proprio da quel senso di inquietudine che nasce la ribellione alla mafia, una ribellione che lo spinge a dire sì alla giustizia. 

Viviana Lentini
V liceo Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017

Recensione Selin La Barbera (a cura di) M. Bisotti, Un anno per un giorno, Mondadori, Milano 2016 ISBN 978-88-04-66181-8

M. Bisotti, Un anno per un giorno, Mondadori, Milano 2016 ISBN 978-88-04-66181-8

Massimo Bisotti è nato e vive a Roma, ha studiato lettere e suona il pianoforte. Compone musica ed è appassionato di letteratura, psicologia, filosofie orientali e ama la cultura zen. Prima del successo, ha cambiato molti lavori: barman, operatore in un call center e assistente in un ambulatorio. «Credo di aver iniziato a scrivere perché le mie parole rimarginassero le ferite e si chiudessero in cicatrici» ha affermato. 
È molto amato sui social: ogni suo post raggiunge migliaia di commenti, e prima di diventare famoso, si faceva promozione da solo pubblicando i suoi scritti su Facebook. A vent'anni scrive il suo primo libro, Foto/grammi dell'anima - Libere [im]perfezioni, un insieme di racconti fiabeschi con una morale per finale. Questo libro viene pubblicato per la prima volta da Edizioni Smasher, nel 2010. Nel 2012, pubblica il romanzo La luna blu - Il percorso inverso dei sogni, edito da Psiconline Edizioni, che ha venduto più di ventimila copie ed è stato definito il più fenomenale caso editoriale del 2012. Con il grande successo del passaparola, nel marzo 2013, a pochi mesi dalla prima pubblicazione, La luna blu è arrivato all'ottava ristampa, il 26 marzo 2013 viene pubblicata da Ultra Castelvecchi la seconda edizione del romanzo. La luna blu, a quattro anni dalla prima pubblicazione, continua ad avere un grande successo di pubblico e di vendita.

Massimo Bisotti, nel suo nuovo romanzo Un anno per un giorno, narra la storia di un cantante, Alex Gioia, che dopo aver raggiunto l’apice del successo, cade in un profondo sconforto interiore, a causa di un amore infelice. Pertanto, decide di trascorrere del tempo a Parigi. La donna che ama si chiama Greta. I due si conoscono durante un evento per la presentazione di un suo CD. Mentre soggiorna a Parigi, incontra varie persone, che lo aiuteranno a fare chiarezza nella sua storia d’amore. 
Un giorno, in metropolitana, incontra Nirvana, una signora molto misteriosa che diventerà fondamentale nella sua vita. Nirvana, dopo aver visto Alex per diversi giorni in metro e dopo aver ascoltato la sua storia con Greta, gli consegna un barattolo di bolle di sapone, dicendogli che ad ogni soffio sarebbe tornato indietro nel tempo, in uno dei momenti vissuti assieme a Greta. Però, come ogni cosa bella, c’è sempre il risvolto della medaglia: ogni giorno rivissuto con la sua amata  gli avrebbe accorciato la vita di un anno. 

Questo libro non è stato all’altezza delle mie aspettative, mi ha molto delusa il finale, perché mi è sembrato molto banale. L’unica cosa che mi ha colpito di questo romanzo sono le parole usate da Alex per descrivere il suo amore per Greta: sembrano così vere che è quasi come se l’autore del libro parlasse attraverso il protagonista e, quindi, ho immaginato che forse anche lui ha amato una donna così profondamente da rispecchiarsi nel suo personaggio. Spero sia così, perché significherebbe che nel nostro mondo ancora esistono uomini in grado di amare e soprattuto di saperlo dire con le giuste parole.

Selin La Barbera
V liceo Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017


sabato 24 settembre 2016

Recensione Ben Said Moussa (a cura di) P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1989, ISBN 9788806313692

P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1989, ISBN 9788806313692

Se questo è un uomo è un romanzo di Primo Levi, scritto tra il 1945 e il 1947 e pubblicato dalla casa editrice Einaudi nel 1989. In quest'opera, l’autore racconta la sua esperienza nei campi di concentramento, durante la Seconda Guerra Mondiale. Sottratto alla sua vita quotidiana, Primo Levi viene condotto in questo luogo di morte, costruito allo scopo di annientare la dignità umana.

Lo scrittore racconta come il lager nazista sia pensato appositamente per trasformare gli uomini in bestie, costretti a lottare gli uni contro gli altri per la sopravvivenza. I reclusi, denutriti e privati persino del nome, sono obbligati ai lavori forzati, spogliati di qualsiasi bene e divisi dalle proprie famiglie. Il romanzo è estremamente toccante perché – al di là delle crude descrizioni di ciò che ha visto accadere ai propri compagni di sventura, al sangue versato, ai bisogni primari insoddisfatti – l’autore ci parla di una coscienza che cerca di reagire, di un uomo che comunque riesce a conservare la sua sensibilità, a "sapersi organizzare", a far finta di seguire ogni regola; un uomo perfettamente consapevole del suo deperimento quotidiano, ma con un cervello frizzante che riesce ancora a pescare dai ricordi ora la Divina Commedia, ora le formule chimiche su cui a Torino lavorava e che nel campo gli torneranno utili.

Oltre a raccontarsi, l'autore cerca di dare una spiegazione, di trovare la causa che spinge gli esseri umani ad annullare la personalità, l’individualità e l’esistenza dei loro simili. Ma non c’è nessuna forma di normalità dietro il dolore gratuito che viene inflitto, ed è questo il male radicale, che non può essere spiegato né gestito ma che, in qualche modo, deve essere contenuto dentro chi ha subito quelle atrocità.

Se questo è un uomo è uno di quei libri che ti fanno rigirare nel letto, che ti impediscono di addormentarti subito, che ti fanno mangiare tutto sino all'ultimo boccone. È una lezione di vita. Una storia, niente di più, niente di meno: ed è proprio la semplicità e la freddezza di spirito con cui sbatte in faccia questa dura realtà, a lasciare senza parole. Sarà stato proprio questo l'effetto sperato, perchè lo stile dell'autore è asciutto, descrittivo, molto diretto, tipico di chi ha la necessità di far arrivare immediatamente un concetto ai suoi lettori.

Queste pagine, quello che lì è accaduto, non si possono dimenticare. Finisco il libro e vado a rileggere una frase. Non è una poesia, è un monito all’umanità intera, quando l'autore ormai non riesce più nemmeno a trovare consolazione in Dio: <<c’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio>> e la sua unica speranza rimane solo la memoria degli uomini:

«Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore, stando a casa andando per via, coricandovi, alzandovi; ripetetele ai vostri figli.»

Diffondere ciò che gli è accaduto: «la mala novella di quanto, ad Auschwitz, è bastato animo all’uomo di fare dell’uomo».


Ben Said Moussa
V liceo S. M. Mazzarello
A. S. 2016/2017




venerdì 23 settembre 2016

Recensione Marco Aurelio Lo Manto (a cura di) R. Rothmann, Morire in primavera, Neri Pozza, Vicenza 2016, ISBN 978-88-545-1162-0

R. Rothmann, Morire in primavera, Neri Pozza, Vicenza 2016, ISBN 978-88-545-1162-0

Walter Urban e Friedrich “Fiete” Caroli sono tra gli ultimi soldati reclutati forzatamente dalle SS. Hanno appena diciassette anni e lavorano come mungitori in una grande fattoria. Walter è fortunato: durante l’addestramento di poche settimane, riesce a prendere la patente e viene affidato alla squadra di autisti che ha il compito di rifornire le unità della Waffen-SS. Fiete, invece, viene spedito in prima linea al fronte. Pacifista nell’animo e profondamente disgustato dalla guerra, farà comunque il suo dovere. Ma di fronte ai soldati feriti, alle bombe che piovono dal cielo e alle granate lanciate dallo stesso esercito tedesco alle spalle dei propri commilitoni, per spronarli ad attaccare il nemico, Fiete crolla.
Deve andarsene, a qualunque costo. Catturato mentre sta fuggendo, Fiete viene condannato a morte in quanto disertore. Walter, ancora incredulo, si ritrova a dover eseguire il più terribile degli ordini: puntare l’arma contro il suo migliore amico…
Come la maggior parte dei reduci tedeschi, Walter non ha mai raccontato nulla di questa esperienza, neppure tra le mura di casa. Questa esperienza lo cambierà per sempre facendolo diventare un uomo taciturno e malinconico. Quando i dottori gli riscontreranno una malattia allo stadio terminale, il figlio gli regalerà un quaderno, sperando che vi scriva qualcosa sul suo misterioso passato.
Emozionante ed avvincente, il romanzo di Ralf Rothmann si presenta come una finestra sul passato non di un eroe ma di uno dei tanti soldati tedeschi che ha vissuto gli orrori della Seconda Guerra Mondiale.

Marco Aurelio Lo Manto
V liceo Istituto S. M. Mazzarello

A.S. 2016/2017

Recensione Viviana Grimaldi (a cura di) A. Gimenéz-Bartlett, Giorno da cani, Sellerio, Palermo, 2000, ISBN: 8838916128

 A. Gimenéz-Bartlett, Giorno da cani, Sellerio, Palermo, 2000, ISBN: 8838916128

Alicia Giménez-Bartlett, scrittrice spagnola di romanzi polizieschi, nasce ad Almansa nel 1951. Frequenta l’Università di Valencia, laureandosi in letteratura e filologia moderna e una volta conseguito il dottorato in letteratura all’Università di Barcellona, insegna per tredici anni letteratura spagnola. Il successo della scrittrice inizia con uno studio sullo scrittore spagnolo, Gonzalo Torrente Ballester, pubblicato nel 1981. Il suo primo romanzo viene pubblicato nel 1984 e con Una stanza tutta per gli altri vince il Premio Femenino Lumen come miglior scrittrice spagnola nel 1997. 
Ma gran parte della sua notorietà è dovuta alla serie di romanzi polizieschi che vedono protagonista un’ispettrice della polizia di Barcellona, Petra Delicado, che assieme al suo collega, Fermin Garzòn, di volta in volta, si occupa di complicati casi di omicidio.
Inoltre, nel 2001 vince il Premio Nadal per Donde nadie te encuentre dedicato alla figura storica di Teresa Pla Meseguer (La Pastora),  esponente della resistenza antifranchista.
Petra Delicado è un’ispettrice spagnola che, assieme al suo collega, il vice ispettore Fermin Garzòn, si ritrova a dover risolvere un nuovo caso: si tratta di un uomo che, durante la notte, viene trovato privo di sensi per le vie di un quartiere spagnolo e trasportato con urgenza in ospedale, dove resta in stato comatoso. L’uomo è stato picchiato e con sé non ha nulla: nessun documento, né soldi o qualsiasi cosa che possa aiutare a riconoscerlo. Solo dopo una serie di giorni - grazie ad un cane che non smette di ululare e che viene segnalato alla polizia da una donna che si trovava nello stesso palazzo dell’animale - si riesce ad identificare l’uomo. Il cane, una volta portato in ospedale, inizia ad agitarsi intorno al lettino ospedaliero, convincendo gli ispettori che si tratti dell’amico a quattro zampe della vittima. 
Il cane contribuisce alle indagini; è proprio lui, infatti, a portare gli investigatori da un importante informatore, che confessa di sapere che quest’ultimo si occupava di rubare cani fornendoli alla facoltà di medicina per la sperimentazione medica. Grazie agli interrogatori ai professori della facoltà, si riesce a decifrare uno dei quaderni trovati a casa della vittima: il quaderno con  le somme di denaro più basse. 
Intanto, il caso si intreccia con le storie d’amore dei due ispettori: Petra vive un amore instabile con il veterinario che conosce quando decide di diventare la nuova padrona di Spavento (il cane della vittima) mentre Fermìn è al centro di un triangolo amoroso, in quanto si innamora di due donne conosciute durante le investigazioni di quello strano caso: Valentina Cortès (addestratrice di cani) ed Angela Chamarro (esperta di cani e proprietaria di una libreria contenente libri sugli animali). 
La vittima, nel frattempo, muore complicando ancora di più il caso.
Penso che Giorno da cani sia uno dei libri che più mi ha incuriosita e appassionata. Mi ha anche fatto conoscere un po’ di più sul mondo dei cani, in quanto ad ogni razza citata viene collegata una descrizione. Inoltre, viene messa in evidenza la fedeltà del cane all’uomo. Leggendo, mi appassionavo sempre di più anche alle storie d’amore narrate, specialmente quella dell’ispettrice Petra. Invece, per quanto riguarda Fermìn, non avrei mai immaginato che la sua amata fosse connessa alla vicenda. Infatti, una delle cose che più mi è piaciuta è stato il finale a sorpresa, anche se non nego che avrei preferito una conclusione meno “amara”, come ad esempio una relazione più stabile tra Petra e il veterinario e la riconciliazione tra Fermìn e la libraia. 
La parte più triste, secondo me, è la morte di Spavento, il cane adottato dall’ispettrice. Leggendo questo libro, ho deciso di comprare un cane perché dietro a quest’animale si nasconde un mondo enorme. Attraverso la lettura ho capito che anche solo con uno sguardo, questo animale può riempire il vuoto lasciato dalla solitudine e far tornare il sorriso in un momento di tristezza. Forse, anche per questo è soprannominato il migliore amico dell’uomo.  

         È un libro che consiglierei, intrigante e ben costruito.
      
         Viviana Grimaldi
         V liceo Istituto S. M. Mazzarello
          A.S. 2016/2017
       


mercoledì 21 settembre 2016

Recensione Giuseppe Spinelli (a cura di) G. Orwell, La fattoria degli animali, Mondadori, Milano 2012 (ristampa), ISBN: 978-88-04-49252-8

G. Orwell, La fattoria degli animali, Mondadori, Milano 2012 (ristampa), ISBN : 978-88-04-49252-8

La fattoria degli animali  è un romanzo distopico di George Orwell, finito nel 1943 e pubblicato nel 1945. Il romanzo rappresenta una violenta satira sul totalitarismo staliniano; strutturato come fosse una favola, tratta varie tematiche, tra cui spiccano sicuramente la critica ai regimi totalitari dell’ epoca e la deformazione e\o distorsione della realtà .
La trama si delinea all’interno della tenuta di un fattore, il signor Jones, uomo che sfrutta senza alcuna pietà gli animali della sua fattoria ed è solito ubriacarsi. Il romanzo inizia con un incontro dei vari animali della tenuta al cospetto del Vecchio Maggiore (anziano e rispettato maiale della fattoria), il quale descrive il suo sogno di una fattoria dove gli animali detengono il potere e non sono costretti a essere schiavi. Successivamente, spiega che tutti gli animali sono in lotta con l’uomo ed in quest’occasione verrà usato per la prima volta il detto “due gambe malvagio, quattro gambe buono“. 
Dopo alcuni giorni, l’anziano maiale muore e tre maiali (Napoleone e Palla di Neve in particolare) decidono di raccogliere l’eredità del Vecchio Maggiore. Quando il fattore Jones rientra per l’ennesima volta ubriaco e non si preoccupa di sfamare gli animali, scoppia una violenta rivolta, con le bestie che fuggono dai recinti e scacciano Jones e gli altri fattori dalla Fattoria padronale. Vengono quindi redatte 7 regole da seguire per tutti gli animali, che culminano nel più importante “tutti gli animali sono eguali“.  I maiali, rinomati per la loro furbizia e intelligenza, assumono il controllo delle operazioni e diventano paradossalmente i nuovi “padroni“ della tenuta, ottenendo un potere sempre più ampio; mentre gli altri animali, accecati dagli ideali rivoluzionari, non si accorgono neanche di essere nuovamente sottomessi. 
Successivamente, i rapporti tra i due leader (Napoleone e Palla di Neve) degenerano e quest’ultimo si dà alla fuga, mentre Napoleone instaura un regime basato sulla violenza e sulla propaganda. Alla fine, i maiali assumono comportamenti completamente umani e tradiscono definitivamente gli ideali della Rivoluzione, modificando il comandamento più importante e restaurando il vecchio nome della tenuta (Fattoria padronale). 
Il romanzo si chiude con una scena emblematica: gli altri animali osservano i maiali dalla finestra mentre bevono, commerciano e litigano tra loro e con gli umani, non riuscendo più a distinguere gli uni dagli altri.
Secondo me, questo romanzo offre molti spunti di riflessione su un argomento ancora abbastanza recente (i regimi totalitari) e mostra quanto siano in realtà crudeli i metodi utilizzati dai dittatori; ma mostra anche come il popolo sia sempre propenso a diventare vittima di una grande bugia e di come il potere, volente o nolente, corrompe pressoché tutti. Inoltre, ritrovo anche un collegamento con la realtà odierna in riferimento al mutamento dei comandamenti: da “tutti gli animali sono eguali“ a “tutti gli animali sono eguali, ma alcuni sono più eguali di altri“, la cui trasformazione rispecchia la situazione odierna, dove chi è più importante e\o ricco riesce sempre ad ottenere trattamenti di favore rispetto a chi, per ottenere dei successi, ha dovuto fare la gavetta. 
Nonostante la polemica sul sistema totalitario però, è giusto riflettere sulla facilità con cui gli altri animali rimangono vittime dell’inganno di Napoleone: un fenomeno che spesso è accaduto un po’ ovunque: il popolo che (certamente oppresso dal regime e “stordito“ dalla propaganda) tende subito a farsi ingannare. Molto pesante, a tal proposito, la scena della morte del cavallo da tiro (Boxer), in cui l’asino Beniamino è l’unico che  si accorge che il suo amico sta andando incontro alla fine e, per di più, vi sta andando incontro convinto che “Napoleone abbia sempre ragione“, subendo quindi una beffa ancora più crudele: sfruttato in vita, convinto di aver aiutato con il suo lavoro gli altri animali, venduto di nascosto ad un macellaio con la convinzione che avrà tutto l’aiuto possibile, muore invece nell’ignoranza.

Concludo la mia recensione con l’incitamento alla lettura di questo libro che, personalmente, mi è molto piaciuto, sia per l’accuratezza della satira di Orwell (che parte dalla Rivoluzione d’Ottobre e giunge fino al degrado dispotico del regime di Stalin), sia per la quantità di spunti di riflessione che vi ho trovato, sia, infine, per l’ottima fluidità dell’opera che, nonostante la struttura da favola, tratta pur sempre argomenti importanti e abbastanza recenti.

Giuseppe Spinelli
V liceo
Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017

Recensione Davide Vincenzo Giannettino (a cura di) R.Viganò, L’Agnese va a morire, Einaudi, Torino 1977, ISBN 9788806386870




R.Viganò, L’Agnese va a morire,  Einaudi, Torino 1977, ISBN 9788806386870




Renata Viganò nasce a Bologna nel 1900, dove muore nel 1976, dopo essere diventata una delle più celebri scrittrici del secolo ed una fervente partigiana italiana. L'autrice si appassiona fin da piccola alla letteratura e coltiva un sogno: diventare un medico ed aiutare il prossimo. Ancora giovanissima, pubblica due raccolte di versi, Ginestra in fiore (1912) e Piccola Fiamma (1915), le quali raggiungono una notevole notorietà. Malgrado ciò, a causa delle gravi difficoltà economiche subentrate in famiglia, è costretta ad abbandonare gli studi al fine di aiutare i propri cari e, con spirito di sacrificio e maturità, decide di entrare nel mondo del lavoro esercitando la professione di infermiera presso gli ospedali bolognesi. 

Durante la guerra, prende parte attiva alla lotta clandestina per la Resistenza e segue, in compagnia del figlio, il marito comandante di formazioni garibaldine. Dirigente del servizio sanitario di una brigata operante nelle valli di Comacchio, in questi anni viene ufficialmente riconosciuta partigiana con il grado di tenente e tale esperienza arricchisce e rende determinante questo particolare tratto della sua biografia. Tale impegno non le impedisce, tuttavia, di proseguire la sua attività letteraria, con la stesura del suo primo romanzo Il Lume Spento (1933) che, grazie ai favori dei salotti culturali, la porta alla pubblicazione del suo capolavoro letterario L'Agnese va a morire, nel 1949. Quest’ultimo la rende protagonista del Premio Viareggio del medesimo anno e viene tradotto in ben tredici paesi.

L'Agnese va a morire rappresenta una delle più genuine e dettagliate opere letterarie che la travagliata esperienza umana e culturale della Resistenza abbia prodotto. Il romanzo narra le vicende di Agnese, una saggia donna cinquantenne, inserite all'interno della cornice storica delle valli di Comacchio, in Romagna, dal 1943 al 1945, durante la Seconda Guerra Mondiale. La storia di Agnese traccia i suoi contorni a partire dalla deportazione del marito della donna, un intellettuale comunista membro della Resistenza, di nome Palita. Tale avvenimento susciterà dei profondi cambiamenti nella vita quotidiana di Agnese che, da semplice bracciante agricola, si avvicina sensibilmente al movimento popolare della Resistenza guidato dai compagni del marito Palita. Pertanto, proprio in questo periodo, ha inizio la vita clandestina della protagonista la quale si trova altresì costretta a fare la "staffetta" da un villaggio all'altro per cuocere i pasti ai compagni che tornavano dalla guerriglia locale e, in modo particolare, con l'obiettivo di trasferire armi e trasmettere le notizie più recenti. Nell'arco di sei mesi, la donna apprende dai compagni della morte del marito, per mano tedesca, durante il viaggio verso i campi di concentramento nazisti. Dopo attimi di disperazione, la protagonista mette a punto la tanto agognata vendetta, la quale ebbe luogo nel corso di un breve soggiorno di un soldato appartenente alla compagine tedesca presso la casa in cui Agnese era temporaneamente ospitata. Quest'ultimo, infatti, durante una rigida notte invernale uccide la sua gattina nera, unico ricordo del marito scomparso, ed Agnese riesce furtivamente ad ucciderlo grazie al mitra momentaneamente incustodito dal nazista. 

Le vicende che percorrono il libro raccontano di continue guerriglie contro i tedeschi, i quali rappresentano gli unici antagonisti del romanzo contro cui bisogna lottare per rivendicare i propri diritti inalienabili. Tuttavia i partigiani, che nel romanzo di Viganò costituiscono gli eroi protagonisti, non sono visti di buon grado dalla popolazione locale e soprattutto dalle truppe alleate, schierate pochi chilometri a sud della valle di Comacchio. La scena del romanzo si conclude con la tragica disfatta del battaglione partigiano, durante il quale la protagonista verrà uccisa durante un controllo militare dal maresciallo Kurt appartenente alla spietata compagine tedesca. Quest'ultimo, in seguito a due ceffoni impugna la pistola e le spara in corrispondenza degli occhi, della bocca e sulla fronte, abbandonando Agnese in un mucchio di stracci neri sulla neve. 

Il testo dell'autrice assume tratti di un romanzo storico-popolare dai caratteri neorealisti, che certamente sposa, con crudo realismo, le atroci azioni ed oscenità commesse nel corso del secondo conflitto internazionale. A mio parere, questo libro che certamente ricalca le esperienze vissute in giovinezza dalla scrittrice, incarna in ogni sua parola la tempestività ed onestà del carattere della protagonista e, nel contempo, oltre a fornirci esaustive descrizioni dei fatti storici, ci permette di riflettere su uno dei valori cardine dell'intera narrazione: la libertà. Quest'ultima, seppure da sempre ritenuta un diritto inalienabile di ogni essere umano è purtroppo ancora negata a molti nostri fratelli, i quali attualmente vivono nel quotidiano scene non meno disumane e strazianti di quelle vissute dai nostri antenati nell'epoca dei conflitti mondiali. Ritengo, in conclusione, che bisogna commemorare nella quotidianità le gesta di questi veri e propri eroi e di tutti coloro i quali, senza esitazione, si sono opposti fermamente ad ogni genere di violenza e sopraffazione, affinché non restino esclusivamente parte del passato, ma contribuiscano ancora a delineare in modo nitido e consolidato il nostro presente ed il futuro.

Davide Vincenzo Giannettino 
V Liceo 
Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017

martedì 20 settembre 2016

Recensione Vittoria Pellerito (a cura di) J.K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, Salani Editore, Milano 1997, ISBN: 978-88-7782-702-9

J.K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, Salani Editore, Milano 1997, ISBN: 978-88-7782-702-9


Harry Potter è un ragazzino di undici anni un po’ diverso dagli altri: abita con i perfidi zii, i Dursley, e gli capitano sovente strani episodi che non riesce neanche lui a spiegarsi; in più, ha una cicatrice sulla fronte a forma di saetta di cui non conosce l’esatta provenienza. 

Il giorno del suo undicesimo compleanno si trova in una capanna non molto distante da casa dei Dursley ed una inconsueta moltitudine di lettere sovrasta l’abitazione. È qui, in questa capanna, che incontra per la prima volta Hagrid, un mezzo gigante, che gli rivela la sua vera origine e la ragione per la quale è orfano ed ospite dei Dursley: Harry è un piccolo mago, unico superstite della sua famiglia ad essere sopravvissuto alla maledizione del crudele mago oscuro Voldemort. Scopre anche di dover iniziare il primo anno alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, il cui Preside, Albus Silente, è uno dei maghi più conosciuti al mondo. 

Il primo settembre, Harry parte per Hogwarts e sul treno conoscerà i suoi futuri migliori amici Ron Weasley ed Hermione Granger, ed anche il suo più grande nemico: Draco Malfoy. 
Appena giunti a destinazione, i giovani vengono smistati dal Cappello Parlante nelle quattro case di Hogwarts: Grifondoro, Tassorosso, Serpeverde e Corvonero; Harry, Ron ed Hermione finiscono insieme a Grifondoro, mentre Malfoy a Serpeverde. Harry conoscerà anche Silente, la Professoressa di Trasfigurazione, Minerva McGranitt, il Professore di Pozioni Severus Piton ed il Professor Quirinus Raptor di Difesa Contro le Arti Oscure. Già da subito, Harry si rende conto di non essere apprezzato da tutti, specialmente dalla casa avversaria Serpeverde e dal suo capo Piton. 

Alla prima partita di Quiddich (popolare sport tra maghi, giocato su manici di scopa), alla quale Harry partecipa come cercatore del boccino d’oro, Piton cerca di ucciderlo, attirando così sospetti di colpevolezza su di lui. La scoperta di un cane a tre teste che sorveglia una botola, porta i tre maghetti a scoprire il segreto di Hogwarts: la custodia della Pietra Filosofale, che possiede poteri enormi, tra i quali l’immortalità. Harry, Ron ed Hermione sono ormai convinti che Piton voglia rubare la Pietra per consegnarla a Voldemort, per tornare in vita e in pieni poteri. I tre amici decidono di salvare la Pietra ed impedire a Voldemort di entrarne in possesso. Superando numerosi trabocchetti ed incantesimi, Ron ed Hermione rimangono indietro col compito di avvisare Silente, mentre Harry prosegue da solo. Arrivato al luogo in cui si trova la Pietra, egli si imbatte nel Professor Raptor e capisce che è lui il vero pericolo, e non Piton. Harry, con l’aiuto del magico specchio delle Brame, che mostra i desideri delle persone, riesce a trovare la pietra e a sconfiggere Raptor, provocando la fuga del debole Voldemort. 

In seguito, Harry scopre che la sua arma vincente è stato il gesto d´amore di sua madre che, sacrificandosi per lui undici anni prima, gli ha donato un immenso potere su Voldemort. 

Apparentemente, una storia di maghi potrebbe essere banale, ma il capolavoro di J.K. Rowling, a parer mio, è sensazionale. L’autrice è riuscita a trasportare non solo il mio cuore, ma quello di milioni di persone, all’interno di una storia surreale che ci fa vivere, per quei momenti in cui siamo immersi tra le pagine del libro, la fanciullezza di questi tre ragazzini, ricca di avventure. Non è difficile immedesimarsi nei personaggi, soprattutto dopo la descrizione delle quattro case della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts: Grifondoro per i più coraggiosi, Corvonero per i più intelligenti, Tassorosso per i più pacifici e Serpeverde per i più ambiziosi. Ognuno riesce a trovare il suo posto all’interno di questa scuola, a seconda del proprio carattere, delle proprie scelte e del proprio percorso. 

Harry è un ragazzino orfano, ma con un coraggio da vendere. Conosciuto per essere sopravvissuto alla cosiddetta anatema scagliata dal potente Lord Voldemort (conosciuto come Tu-Sai-Chi), grazie ad una protezione fornita ad Harry dalla madre, finirà per indebolire fortemente il suo nemico. Ben presto, a scuola si noterà non solo la sua bravura nell’esercitare incantesimi, ma anche la sua propensione al Quiddich, lo sport dei maghi. Il piccolo Potter ha sangue freddo e tanto coraggio che gli permetteranno di sconfiggere ancora una volta Tu-Sai-Chi, e ottenere molti segni di riconoscimento anche dal grande Albus Silente.

Ron è il migliore amico di Harry. Proviene dalla famiglia di maghi Weasley, tutti quanti Grifondoro come lui. È anche molto abile negli scacchi, che lo aiuteranno a superare una prova per arrivare alla Pietra Filosofale. È meno coraggioso di Harry ma si rivelerà, soprattutto in futuro, un grande mago.
Hermione è una ragazzina, figlia di due babbani (coloro che non hanno poteri magici), che fin da piccola mostra la propensione verso la magia. Spesso viene presa in giro a scuola perché è molto intelligente, a volte fastidiosa durante le lezioni. Dopo che Harry e Ron la salvano dal bagno delle ragazze da un troll di montagna, lei diventerà la loro migliore amica. Ci metterà ben poco a diventare la strega più brillante della sua età.

Ho amato profondamente non solo la scrittura della Rowling, ma anche la descrizione nei minimi dettagli di ogni cosa e di ogni singolo personaggio o luogo. Queste caratteristiche, infatti, permettono al lettore di immedesimarsi nella storia. Mi è piaciuto questo libro perché l’autrice ha realizzato un meraviglioso adattamento di un argomento apparentemente banale ad una storia per ragazzini, permettendo a questi ultimi non solo di imparare molti valori importanti della vita, ma anche di mettere alla prova la loro fantasia. L’adattamento cinematografico è altrettanto buono: i personaggi sono fedeli e la storia non ha subito grandi mutamenti. La Rowling ha davvero realizzato un capolavoro di saga.  

Vittoria Pellerito
V Liceo
Istituto S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017





Recensione Francesco Domanico (a cura di) L. Orlando, Palermo, Arnoldo Mondadori, Milano 1990, ISBN 978-8804336211

L. Orlando, Palermo, Arnoldo Mondadori, Milano 1990, ISBN 978-8804336211.   

Nato il primo agosto 1947 a Palermo, Leoluca Orlando ha vissuto e studiato per alcuni anni in Inghilterra e ad Heidelberg in Germania. Avvocato cassazionista e professore di diritto pubblico regionale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, Orlando è autore di numerosi articoli e monografie scientifiche. Fondatore e coordinatore del Movimento per la democrazia, viene eletto deputato nel 1992 ma rinuncia in seguito alla sua rielezione a sindaco di Palermo, vincendo le elezioni il 21 novembre 1993 al primo turno con 293 mila voti. 

Si colloca in questo periodo la denuncia di Orlando contro gli intrecci tra mafia e politica. Dopo le dure battaglie in campo politico, nel 1994 Orlando decide di affrontare una nuova sfida: viene eletto deputato europeo con 149.976 preferenze. Nel luglio del 1994, al Parlamento di Strasburgo, viene chiamato a far parte della Commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni. Tuttavia, il suo cuore è sempre rivolto alla sua cara città e per questo, nel 1997, si candida nuovamente alla carica di sindaco, vincendo le elezioni con 207.448 preferenze. Il 18 Dicembre del 2000, si dimette per candidarsi alla Presidenza della Regione Siciliana. Ma, pur sfiorando il milione di voti, non riesce ad entrate in Regione. Nel 2006, insieme ad Antonio Di Pietro entra a fare parte del nuovo partito Italia dei Valori appoggiando il centrosinistra. Qualche mese dopo, il nuovo Presidente del Consiglio, Romano Prodi, nomina Orlando Ministro per gli Italiani nel mondo. Nel 2012, torna a ricoprire la carica di sindaco di Palermo dopo le elezioni amministrative del mese di maggio. Attualmente, ricopre nuovamente la carica di primo cittadino. 

In un viaggio dentro gli ultimi venti anni di una città-simbolo, Leoluca Orlando, nel suo libro Palermo, racconta, attraverso varie testimonianze, l’esperienza personale vissuta all’interno della politica siciliana. Dal Sessantotto passato tra Palermo e Heidelberg agli studi giuridici affrontati per conseguire la laurea in giurisprudenza, Orlando percepisce il degrado in cui riversa la propria città -  degrado generato dai pericolosi intrecci tra mafia e politica - e il terrore vissuto dall’intera popolazione inerme dinanzi ad una mafia che elimina brutalmente coloro che cercano un vero cambiamento e nuovi sbocchi per una delle città più belle d’Italia.  Appoggiato dalla vecchia Dc e da uomini come Sergio e Piersanti Mattarella, Leoluca presenta la sua prima candidatura come cittadino di Palermo, ma il sistema era ancora troppo corrotto.  Si pensi, a tal proposito, alla figura - molto discussa - di un personaggio, padre Ennio Pintacuda, che all’interno dell’ufficio parrocchiale disponeva di 3 telefoni fissi che squillavano, in maniera insistente, durante le campagne elettorali. Ma ciò che stupisce maggiormente Leoluca è il fatto che padre Pindacuda, uomo di grande rispetto e tanto conosciuto in ambito politico, sapesse già, prima delle amministrative, il nome del candidato vincente (che non era Orlando). 

Anni dopo, la ricandidatura di Orlando come sindaco verrà bocciata e, al suo posto, verrà presentato Stefano Camilleri, esponente della cosiddetta sinistra democristiana, sponsorizzato da Lima e Ciancimino. In seguito alla bocciatura, Orlando verrà inviato negli Usa dalla Segreteria di Stato in quanto la vecchia Dc stava per essere commissariata e la sua presenza avrebbe potuto creare problemi al partito. Ciriaco De Mita, importante esponente della Dc e sostenitore di Orlando, interpreta la sua partenza come un abbandono del partito. Ma al suo ritorno, la situazione a Palermo si ribalta: Ciancimino, il sindaco tanto discusso e in odor di mafia, viene arrestato con la grave accusa di favoreggiamento mafioso e corruzione aggravata. Orlando poteva finalmente fare il suo ingresso in politica. L’inizio della campagna elettorale sarà però una tragedia: sul palco posto in piazza Politeama, tradizionale luogo dei comizi politici, c’erano solo Sergio Mattarella, Rino La Placa e Leoluca Orlando. La mafia aveva deciso che in quella piazza nessuno doveva partecipare alla campagna elettorale. Ma, in cuor suo, Leoluca Orlando sapeva che i palermitani lo avrebbero eletto perché la sua politica era contro la mafia: <<Palermo è una città viva, dobbiamo renderla più vivibile>>. Queste le sue parole nel suo primo discorso da sindaco, il 15 luglio 1985, parole - come dirà lo stesso Orlando - prese in prestito da un libro di Giorgio La Pira. La sfida era vinta: la Dc, depurata dalle connivenze mafiose, governava la città, sebbene i segnali di pericolo non tardarono ad arrivare: il 28 luglio, infatti, viene assassinato Beppe Montana, commissario di pubblica sicurezza. Il giorno dopo, si sarebbe insediata la nuova giunta comunale di Orlando. 

I giorni da sindaco si rivelano tutt’altro che semplici: a distanza di cinque giorni dall’assunzione del mandato, il giovane Salvatore Marino viene ucciso all’interno della questura di Palermo perché sospettato dell’omicidio Montana. Qualche giorno dopo, la città viene scossa da un ulteriore brutale assassinio: il 6 agosto Ninni Cassarà, capo della Squadra Mobile, viene ucciso sotto casa in via Croce Rossa. La scia di sangue non termina: in via Libertà - a causa della tensione che si respirava tra gli uomini della scorta - un’auto che scortava un importante uomo di Stato, a causa dell’alta velocità, sbanda in Via Libertà, uccidendo sul colpo Giuditta Milella e Biagio Siciliano, due studenti liceali.

L’estate dell’ ’85 mostra al sindaco Orlando la dura situazione in cui si sarebbe imbattuto di lì a poco. Sebbene la nuova giunta fosse efficiente e i problemi di Palermo cominciassero ad essere risolti, la stagione stragista in Sicilia non era terminata. La sera del 12 Gennaio 1988, mentre era al volante della sua <<132>> all’incrocio con una strada statale, viene freddato Giuseppe Insalaco, ex sindaco di Palermo, considerato dalla stesso Orlando come una scheggia impazzita del sistema, un uomo tanto furbo e intelligente all’interno della burocrazia politica ma, allo stesso tempo, misterioso e ambiguo nel suo comportamento. Il 1988 si apre con quel delitto e si chiude con la bara del politico Mondo, ucciso a distanza di 24 ore da Insalaco: due macabri delitti preparati razionalmente da quell’entità opposta allo Stato: la Mafia. L’ ’88 si chiude, dunque, con altri due funerali. La rabbia dilaga in tutti luoghi, persino a Palazzo delle Aquile, sede del Comune, dove alcuni sindacalisti si incatenano provocando la totale paralisi del Consiglio. Di fronte all’entrata del PCI in giunta comunale dopo le drammatiche vicende palermitane, l’opposizione è rappresentata solo dagli uomini più fedeli a Orlando: Guido Bodrato, Leopoldo Elia, Sergio Mattarella, Biagio Agnes e un uomo, un politico soprannominato come l’uomo dell’eterno presente: Giulio Andretti. Orlando parlerà di Andreotti come un uomo di grande spessore culturale ma con una inclinazione verso i poli moderati, a differenza di Orlando incline alla politica dei poli progressisti. 

Dopo un viaggio a Roma, Leoluca Orlando è già propenso alle dimissioni da sindaco, visti i fatti accaduti in città e al clima di stallo della sua giunta in Consiglio comunale. Ma l’atterraggio all’aeroporto di Palermo cambia la sua decisione. La gente che lo incontra lo applaude e lo ringrazia; altri lo fischiano non riconoscendo il suo operato. Solo un uomo, Vito Guarresi - politico che all’epoca dei funerali di Insalaco aveva attaccato duramente Orlando nel corso del programma televisivo di Santoro, Samarcanda - con un rapido cenno di mano dice <<Buonasera professore>> e poi scompare. Questo episodio, afferma Orlando nel suo libro, era la dimostrazione del fatto che il cambiamento iniziava ad essere percepito e anche i nemici della vecchia DC riconoscevano l’operato di una giunta corretta. Lo scrittore Leonardo Sciascia, in un passo menzionato nel libro, prima di morire conforterà e incoraggerà il giovane Leoluca nei primi anni del suo operato.


Francesco Domanico 
V liceo
Istituto S.M. Mazzarello
A.S. 2016/2017

Recensione Francesco Costanzo (a cura di) A. Christie, C'è un cadavere in biblioteca, Mondadori, Milano 1948, ISBN:978-88-04-50771-0




A. Christie, C'è un cadavere in biblioteca, Mondadori, Milano 1948, ISBN:978-88-04-50771-0

Agatha Clarissa Miller, Lady Mallowan - nota più semplicemente come Agatha Christie - fu scrittrice di romanzi gialli che l'hanno resa celebre. Di lei conosciamo anche alcuni romanzi rosa scritti con lo pseudonimo di Mary Westmacott. Giallista di fama mondiale, curò sempre i suoi romanzi con grande abilità, creando un'atmosfera intrigante attraverso personaggi ed ambienti di facile riconoscibilità: descrizioni accurate, senso della suspance e della sintesi, ambientazioni realistiche e dettagliate. I suoi personaggi maggiori sono famosi in tutto il mondo: celebri sono l'investigatore belga Hercule Poirot e la simpatica vecchietta, nonché acuta indagatrice, Miss Marple. Molti dei suoi romanzi hanno avuto un adattamento cinematografico e televisivo. 

Figlia di padre statunitense e madre britannica, Agatha cresce in una famiglia borghese e non frequenta alcuna scuola ma viene istruita dalla madre. Si appassiona alla musica e, nel 1906, va a Parigi per studiare canto: vuole diventare una cantante lirica, ma gli studi non le danno molte soddisfazioni, e decide così di tornare in Inghilterra. Conosce Archibald Christie, colonnello della Royal Flying Corps, con cui si fidanza. Durante la prima guerra mondiale, Agatha lavora presso l'ospedale di Tourquay e lì impara molto sui veleni e sui medicinali, cosa che le tornerà molto utile quando, ispirata da questa conoscenze, deciderà di scrivere romanzi gialli. 

In pieno conflitto mondiale, inizia a scrivere il suo primo romanzo: The Mysterious Affair at Styles; che ha come ambientazione la prima guerra mondiale ma che verrà però pubblicato solo successivamente, nel 1920. L'ispirazione di inventare un personaggio da romanzo giallo venne a Christie, oltre che dalla sua conoscenza sui veleni appresa al dispensario, leggendo libri che davano vita a personaggi ricchi di suggestione come l'Arsenio Lupin di Mauricio Leblanc o il giornalista-investigatore Joseph Rouletabille Leroux. Le venne così l'idea di inventare, a sua volta, un personaggio che fosse come lo Sherlock Holmes di Conan Doyle ma non gli somigliasse troppo, sia nell'aspetto che nella conduzione delle indagini. Grazie ad un finanziamento del British Museum, nel 1923 parte assieme al marito per un viaggio intorno al mondo; nello stesso anno, firma un contratto con la rivista Sketch per scrivere dodici racconti che avranno come protagonista Hercules Poirot. 

Nel 1926, la vita di Christie è scossa da due eventi per certi versi traumatizzanti: muore sua madre e suo marito chiede il divorzio. Agatha improvvisamente scompare dalla sua casa, vagabondando in stato di amnesia. Nei tre anni successivi, la sua produzione letteraria sembra conoscere una certa stasi qualitativa e di vendite; durante un viaggio in treno verso Baghdad, trova l'ispirazione per Assassinio sull'Orient Express, considerato uno dei suoi capolavori. Durante lo stesso viaggio, fece la conoscenza dell'archeologo Max Mallowan, di molti anni più giovane. Nello stesso anno, Christie inizia anche la stesura di La morte nel villaggio, il primo romanzo con protagonista Miss Marple. Muore il 12 gennaio 1976 a Wllingford nella sua casa di campagna. 


La storia comincia in una mattina come le altre, quando la signora Banrty e suo marito vengono svegliati dalla cameriera che dice di aver visto il cadavere di una giovane donna bionda che indossava un vestito bianco, nella biblioteca. Così viene chiamata la polizia; il colonnello Melchett e il sovrintendente Harper devono svolgere questa indagine. La signora Bantry chiama invece Miss Marple, una sua vecchia amica, l’unica che, alla fine, si rivelerà in grado di trovare il colpevole dell’omicidio. 


La vicenda si svolge nei pressi di una località situata a non molta distanza da Londra, St Mary Mead. I luoghi in cui è ambientata la vicenda sono sia aperti che chiusi e alcuni di loro possono essere definiti delle vere e proprie parole chiave, ad esempio Somerset House. Il romanzo è stato scritto con le caratteristiche principali del racconto giallo: inizialmente, infatti, l’omicidio spezza l'equilibrio che infine viene ristabilito. Nel libro, l'elemento che dà molto effetto al racconto è la suspance. Il linguaggio è scorrevole e facilmente comprensibile; viene utilizzata la lingua straniera. 


La vicenda è narrata nell'arco di una settimana, ossia dal ritrovamento del primo cadavere fino alla scoperta dell'assassino. Prevale il discorso diretto, a causa dei molti colloqui. C'è da notare che l'intera vicenda è in flashback e sono presenti dei monologhi interiori. Il narratore è esterno alla vicenda. 


Questo libro mi è piaciuto perché racconta come si svolge l’indagine e, sebbene siano veramente poche le probabilità di trovare il colpevole, Miss Marple, prestando attenzione a tutti i particolari - anche a quelli apparentemente più insignificanti - alla fine riesce a scoprire la verità. 


Francesco Costanzo
V liceo S. M. Mazzarello
A.S. 2016/2017

domenica 18 settembre 2016

Recensione Francesco Saladino (a cura di) J. Swift, I viaggi di Gulliver, Tre Sei Scuola, Chiaravalle 2007, ISBN 978-88-8414-333-4



J. Swift, I viaggi di Gulliver, Tre Sei Scuola, Chiaravalle 2007, ISBN 978-88-8414-333-4



Jonathan Swift, nato a Dublino nel 1667 e morto nel 1745, è stato uno scrittore e poeta irlandese, autore di romanzi e pamphlet satirici. La sua opera più nota, I viaggi di Gulliver, narra la storia di un medico che, dopo essersi laureato al college di Cambridge, si stabilisce a Londra con la sua famiglia. Oltre ai suoi studi, Gulliver si dedica all’arte della navigazione. Attratto dal viaggio, lavora come chirurgo a bordo di alcune navi. Il 4 maggio 1699 accetta l’offerta del capitano Guglielmo Prichard, comandante dell’Antilope, e si imbarca per i mari del sud. Mentre si dirigono verso le Indie Orientali, una tempesta divide la nave in due. Gulliver e alcuni marinai si mettono in salvo su una scialuppa che poi si rovescia. Gulliver si salva nuotando finché non trova la riva. Stanco, si distende sull’erba e si addormenta. Al risveglio si trova legato e immobilizzato. Guardatosi attorno, scorge delle creature non più alte di 15 centimetri con arco e frecce. Gulliver grida così forte da farle scappare ma, un’attimo dopo, alcune di loro scagliano le loro frecce su Gulliver. Il medico cerca di tranquillizzarsi pensando che a notte fonda sarebbe potuto scappare ma, dopo un po’ di tempo, le creature che parlano una lingua incomprensibile, gli portano del cibo e dell’acqua. Successivamente, grazie a diecimila cavalli, Gulliver viene trasportato nella capitale per essere mostrato a tutto il popolo. Dopo diverse avventure e peripezie, il protagonista riesce a fare ritorno a casa ma, dopo pochi mesi, riparte perché la voglia di viaggiare lo spinge ad un secondo viaggio che lo porterà dritto verso Brobnignag.

Gulliver è un personaggio molto gentile. Attraverso il racconto dei suoi viaggi, emerge il suo amore per l’avventura.  

Il linguaggio  usato dall’autore è piuttosto scorrevole e la sintassi è semplice.

Il testo è forse rivolto a lettori troppo piccoli e, infatti, è molto sintetico. Gulliver compie ben quattro viaggi, mentre in questo libro ne vengono descritti soltanto due. Però, devo ammettere che la lettura è stata molto divertente, perché è impossibile che esistano delle persone basse 15 centimetri o alte 15 metri. Mi è piaciuto molto perché anche a me, come al protagonista, piacciono molto i viaggi e le avventure! 

Francesco Saladino
IIIA Mazzarello
A.S. 2015/2016

Recensione Fabiana Tagliavia (a cura di) M.Twain, Le avventure di Tom Sawyer, Mondadori, Milano 2012, ISBN 9788804618386



M.Twain, Le avventure di Tom Sawyer, Mondadori, Milano 2012, ISBN 9788804618386

L'autore dell'opera Le avventure di Tom Sawyer è  Mark Twain, pseudonimo dello scrittore americano Samuel Langhorne Clemens, specializzato in libri per ragazzi, nato in Florida nel 1835. Il racconto viene pubblicato nel 1876 dalla casa editrice Gaia Edizioni. La continuazione della storia si trova in una seconda parte intitolata Le avventure di Huckleberry Finn.

Il libro racconta la storia di Tom Sawyer, ragazzino birichino adottato dalla zia alla morte dei suoi poveri genitori. La vicenda centrale si svolge nel cimitero del villaggio a mezzanotte, dove Tom e il suo amico Huck seppelliscono un gatto. Quella notte i due sono inconsapevoli testimoni di un omicidio. 

I personaggi di questo racconto sono: Tom Sawyer, Sid, suo fratello, zia Polly e il suo gatto Peter, Becky Thatcher, Huckleberry Finn, il maestro Joe Harper, Muff Potter, Joe l'indiano, la vedova Douglass.

Il narratore è esterno, infatti le vicende sono raccontate da Mark Twain, il quale ha ammesso che ci sono dei riferimenti autobiografici. Egli usa un linguaggio molto semplice e ricco di dialoghi che permettono di ricreare la scena e di coinvolgere il lettore. 

La vicenda narrata si svolge nella cittadina fittizia di St. Petersburg in Missouri, prima della guerra di secessione. 

L'intenzione comunicativa dell'autore è quella di spronarci a seguire la nostra fantasia. Infatti, il racconto ruota attorno allo scontro tra adulti e bambini. I primi sono conservatori e puritani, mentre i secondi  amano la ribellione e l'anticonformismo.

La storia è molto bella e coinvolgente. Ne consiglio la lettura a tutti!

Fabiana Tagliavia
III A Mazzarello
A.S. 2015/2016


sabato 17 settembre 2016

Recensione Andrea Prestifilippo (a cura di) L. Daniels, Un pony per amico, Edizioni EL, Trieste 1997, ISBN 978-8847701359



L. Daniels, Un pony per amico, Edizioni EL, Trieste 1997, ISBN 978-8847701359



Il racconto fa parte della collana L’arca degli animali ed è stato pubblicato a Trieste nel 1997. L'autrice Lucy Daniels è una psicologa che lavora presso una clinica privata a Raleigh nel North Caroline.


La storia narra di Prince, un pony che inizialmente appartiene a Jane. La ragazza però è costretta a trasferirsi a Londra con la madre e deve abbandonarlo. Mandy, protagonista del racconto e amica di Jane, le promette che farà di tutto per trovare una buona sistemazione all’animale. Dopo tempo però, scopre che Prince è adesso il cavallo di Susan, la nuova compagna di scuola. Quest’ultima conosce poco i cavalli e Prince si ammala ma, nonostante tutto, Susan insiste per portarlo alla gara a ostacoli più attesa dell’anno. Per Mandy scatta l’emergenza, gareggiare potrebbe rappresentare per lui un serio pericolo. Mandy riesce ad allontanare Prince dal campo gara portandolo in una chiesa e salvandogli la vita.


L’autrice descrive Susan, la nuova arrivata a scuola, come una ragazza molto viziata e presuntuosa. Mandy, invece, è buona, sensibile e amante degli animali.


La vicenda è ambientata in luoghi sia aperti che chiusi e si svolge in un arco di tempo abbastanza breve secondo un ordine logico – cronologico. Prevalgono dialoghi, per lo più brevi, che sottolineano gli stati d’animo dei personaggi. 


Questo racconto mi è piaciuto molto e mi ha appassionato perché amo gli animali e ho dei cavalli. Penso che storie come quella vissuta da Mandy possano capitare a tutti. L’autrice vuole insegnare il rispetto verso gli animali perché anche loro hanno una dignità. 






Andrea Prestifilippo


IIIA S.M.Mazzarello


A.S. 2015/2016